DISCORSO SOPRA L'ITALIA, PATRIA MAI NATA
di
Michele Filipponi
- Capitolo XIV -
Ma al tempo de discorsi nostri, ruppe l'indugi 'l presidente Wilson[1], protagonista al termine de lo conflitto del Trattato di Versailles[2] e pria de lo intervento armato, in guerra che vide morti oltre ogne misura, concimar campi per anni ove sanguine d'ogne razza andava sperso 'n terra et in fiori subitamente estirpati da nôve trincee scavate da' vivi. Soldati a li ordini, ignoranti, per lo più analfabeti, soldati che se scanna per un matto che comanna[3], soldati che de vanga lavorano a scavarse la fossa, soldati marionetta, soldati Charlot[4], omini vivi in mezzo a' morti, che passan dì a non viver attendendo lo respiro ultimo, sanza nemmanco accorgerse d'esser già più d'un metro sotterra.
Codesto fu lo scenario de Grande Guerra che per li Italiani ebbe azione de primo legame. Paradossalmente difatti, fu proprio la guerra, la prima combattuta dopo 'l Risorgimento, a riunire sotto l'istessa divisa, per la prima volta dal tempo de l'antica Roma, tutti li popoli italici che pria per secoli se mossero guerra. Evento d'incontro tra sud e nord, tra piemontesi e siciliani, tra napoletani e veneti che combatterono al fianco et andando a morir assieme divenivan popolo, sovra li cadaveri de li compagni. Popolo, per quanto possibile in codest'etnico mescuglio.
Quale amara fine... e qual buffo inizio. Non v'è niente de più similare alla morte che la guerra, niente de più sinonimo, imperocché tanto di fronte all'una che all'altra siam effettivamente tutti eguali. Tutti fratelli, sanza distinzion alcuna. Et invero perirono assieme non solo uomini di carattere diverso o di diversa idea o geograficamente opposti, ma puro de differente classe sociale. Fu anche qui nôva cosa, che intellettuali e contadini, aristocratici e operai, mercatanti e artisti, cadevano l'uno sul grembo dell'altro, azzerando discrepanze come 'a livella de Totò[5]. E codardi morivano da eroi, scoprendo lor patria punti nell'orgoglio d'uno straniero che li vedêa sol come magnoni de' fegato alla veneziana con cipolle, come espressione geografica[6] et insensatezza de popolo e per codesto perirono da nôvi italiani, fatti da zero, d'una sola bandiera, all'istesso modo con cui seguitamente Monicelli li ritrasse su pellicula[7].
Mai tremaron sì forte l'Alpi, che quasi Natura temette per loro, quando cariche d'esplosivo venian fatte schioppare da italiani e austriaci che per distruggerse se distruggean distruggendo. Lagrime de roccia zampillavano da' monti e sotto que' macigni annegavan li soldati tutti che de lagrime ancor più pesanti avrebber fatto poi annegar le lor famiglie.
Oh... qual triste e acquatico circolo vizioso, sapendo che quelle istesse famiglie per consolasse avrebber messo al mondo nôvi figli per nôve guerre.
Accadde così che squassato di bombe, 'l confine natural nostro assistea al ridiculo spettacolo, trasformato in groviera e vide la disfatta a Caporetto de Cadorna e lo sfondamento de Diaz sul Piave che liberò Vittorio Veneto e te consegnò Trento e Trieste[8].
Accadde che i vincitori addossaron tutte le colpe ai vinti, che vennero puniti oltre misura, perdendo parte de' territori, della potenza bellica e imponendoglie un debito per danni de guerra insaldabile sin dal principio, che avrebbe impedito lor qualsiasi margine de crescita economica. La Germania avea sì grandi colpe ma la vendetta non dovea esser la su' pena, perocché da tali imposizioni germogliaron come gran di spelta[9] l'ideali maligni d'un pittor fallito[10].
Codesto fu lo scenario de Grande Guerra che per li Italiani ebbe azione de primo legame. Paradossalmente difatti, fu proprio la guerra, la prima combattuta dopo 'l Risorgimento, a riunire sotto l'istessa divisa, per la prima volta dal tempo de l'antica Roma, tutti li popoli italici che pria per secoli se mossero guerra. Evento d'incontro tra sud e nord, tra piemontesi e siciliani, tra napoletani e veneti che combatterono al fianco et andando a morir assieme divenivan popolo, sovra li cadaveri de li compagni. Popolo, per quanto possibile in codest'etnico mescuglio.
Quale amara fine... e qual buffo inizio. Non v'è niente de più similare alla morte che la guerra, niente de più sinonimo, imperocché tanto di fronte all'una che all'altra siam effettivamente tutti eguali. Tutti fratelli, sanza distinzion alcuna. Et invero perirono assieme non solo uomini di carattere diverso o di diversa idea o geograficamente opposti, ma puro de differente classe sociale. Fu anche qui nôva cosa, che intellettuali e contadini, aristocratici e operai, mercatanti e artisti, cadevano l'uno sul grembo dell'altro, azzerando discrepanze come 'a livella de Totò[5]. E codardi morivano da eroi, scoprendo lor patria punti nell'orgoglio d'uno straniero che li vedêa sol come magnoni de' fegato alla veneziana con cipolle, come espressione geografica[6] et insensatezza de popolo e per codesto perirono da nôvi italiani, fatti da zero, d'una sola bandiera, all'istesso modo con cui seguitamente Monicelli li ritrasse su pellicula[7].
Mai tremaron sì forte l'Alpi, che quasi Natura temette per loro, quando cariche d'esplosivo venian fatte schioppare da italiani e austriaci che per distruggerse se distruggean distruggendo. Lagrime de roccia zampillavano da' monti e sotto que' macigni annegavan li soldati tutti che de lagrime ancor più pesanti avrebber fatto poi annegar le lor famiglie.
Oh... qual triste e acquatico circolo vizioso, sapendo che quelle istesse famiglie per consolasse avrebber messo al mondo nôvi figli per nôve guerre.
Accadde così che squassato di bombe, 'l confine natural nostro assistea al ridiculo spettacolo, trasformato in groviera e vide la disfatta a Caporetto de Cadorna e lo sfondamento de Diaz sul Piave che liberò Vittorio Veneto e te consegnò Trento e Trieste[8].
Accadde che i vincitori addossaron tutte le colpe ai vinti, che vennero puniti oltre misura, perdendo parte de' territori, della potenza bellica e imponendoglie un debito per danni de guerra insaldabile sin dal principio, che avrebbe impedito lor qualsiasi margine de crescita economica. La Germania avea sì grandi colpe ma la vendetta non dovea esser la su' pena, perocché da tali imposizioni germogliaron come gran di spelta[9] l'ideali maligni d'un pittor fallito[10].
1. Thomas
Woodrow Wilson (Staunton, 28 dicembre 1856 – Washington, 3
febbraio 1924) fu il 28º presidente degli Stati Uniti e il secondo
appartenente ai Democratici a diventarlo per due mandati (in carica
dal 1913 al 1921). Vinse il Nobel per la pace nel 1919 per il suo
operato durante il Trattato di Versailles in cui propose di applicare
il così detto "diritto all'autodeterminazione" per ogni
popolo, inteso come comunità etnica: secondo tale principio infatti
ogni etnia doveva avere il suo stato nazionale. Ma Wilson con la sua
politica creò pure il più cupo periodo di razzismo nella storia
degli Stati Uniti, simpatizzando per il Ku Klux Klan e istituendo la
segregazione razziale nel governo federale, per la prima volta da
quando Abraham Lincoln iniziò la desegregazione nel 1863, e richiese
fotografie dai candidati per posti di lavoro, per determinare la loro
razza. Oltre a ciò ebbe un atteggiamento sospettoso per quelli da
lui chiamati “Americani col trattino” (ossia
tedeschi-americani, irlandesi-americani, etc.) dicendo di essi: «Ogni
uomo che porta con sé un trattino, porta un pugnale che è pronto ad
affondare nelle parti vitali di questa Repubblica ogni volta
possibile».
2.
Il Trattato di Versailles fu uno dei trattati
di pace che pose ufficialmente fine alla prima guerra mondiale.
Stipulato nell'ambito della Conferenza di pace di Parigi del
1919-1920 e firmato da 44 Stati il 28 giugno 1919 a Versailles, in
Francia, impose alla Germania sconfitta pesantissime punizioni sul
piano morale ed economico, mentre gli Stati Uniti non ratificarono
mai il trattato restando perciò fuori dalla Società delle Nazioni e
negoziando una pace separata con la Germania. Il patto di Versailles
passò inoltre alla storia perché scontentò incredibilmente sia i
vincitori che i vinti.
3.
Trilussa, “La ninna nanna de la guerra”,
vv. 19-20.
4.
Riferimento al film “Charlot soldato” di
Charlie Chaplin uscito nel 1918 (pochi giorni prima della fine della
grande guerra) in cui l'artista denuncia, con le armi della satira e
della parodia, la crudele ridicolaggine della guerra di trincea,
riscuotendo un enorme successo di pubblico. Il primo d'una lunga
serie.
5.
“'A livella” è una poesia in lingua
napoletana scritta nel 1964 da Totò, in cui il grande comico
paragona lo strumento della livella alla morte, immaginando un
dialogo surreale fra due defunti, un netturbino e un marchese, col
secondo a lamentarsi del primo per aver avuto l'ardire d'essersi
fatto seppellire accanto ad un nobile. E il secondo a ricordare al
primo che indipendentemente dai titoli nobiliari con la morte si
diventa tutti uguali, agendo essa per l'appunto, proprio come fa la
livella.
6.
Riferimento a Metternich, cancelliere austriaco
dal 1821 al 1848, che pronunciò in merito allo scarso valore
politico unitario del nostro paese, la famosa frase: “L'Italia è
un'espressione geografica”.
7.
Mario Monicelli (Roma, 16 maggio 1915 – Roma,
29 novembre 2010) è stato uno dei più grandi registi
cinematografici, considerato il padre della commedia all'italiana. Si
fa qui riferimento ad uno dei suoi più grandi capolavori intitolato
“La grande guerra” in cui vengono ripercorsi gli eventi del
fronte italiano attraverso la comica vigliaccheria dei due
protagonisti interpretati magistralmente da Alberto Sordi e Vittorio
Gassman, che alla fine si immoleranno inaspettatamente per la patria,
punti proprio nell'orgoglio da uno sfottò culinario di un comandante
austriaco, il quale pretendeva importanti informazioni da usare
contro l'esercito italiano, pena la fucilazione che così avvenne,
trasformando i due vigliacchi in eroi.
8.
Vengono qui menzionati i due eventi più
importanti sul fronte italiano durante la guerra. Il primo, la
disfatta di Caporetto sull'Isonzo nel 1917 (la più grave disfatta
nella storia dell'esercito italiano, tanto che, non solo nella lingua
italiana, ancora oggi il termine Caporetto viene utilizzato
come sinonimo di sconfitta disastrosa.) dove le truppe
austro-ungariche con l'apporto dei reparti d'élite tedeschi,
riuscirono a sfondare le linee italiane, che impreparate a una guerra
difensiva e duramente provate dalle precedenti undici battaglie
dell'Isonzo, non ressero all'urto e dovettero ritirarsi fino al fiume
Piave. La tremenda sconfitta, che costò all'esercito italiano
trecentomila uomini, portò alla sostituzione del generale Luigi
Cadorna (che cercò di nascondere i suoi gravi errori tattici
imputando vergognosamente le responsabilità alla presunta viltà di
alcuni reparti che invece diedero la vita pur di reggere l'urto
dell'attacco nemico) con Armando Diaz. Le unità italiane si
riorganizzarono abbastanza velocemente e fermarono le truppe
austro-ungariche e tedesche nella successiva prima battaglia del
Piave riuscendo a difendere a oltranza la nuova linea difensiva su
cui aveva fatto ripiegare Cadorna. Il secondo evento invece è quello
della vittoriosa battaglia di Vittorio Veneto del 1918 che segnò il
disfacimento dell'esercito austro-ungarico e la fine della guerra per
l'Italia, dopo una durissima battaglia combattuta da entrambi gli
schieramenti. Gli Italiani poterono così avanzare rapidamente fino a
Trento e Trieste, vittoriosi.
9. Dante Alighieri, Inferno, Canto XIII,
verso 99.
10. Si fa qui riferimento ad Adolf Hitler e al suo amore
giovanile per la pittura (dipingeva con scarsi risultati soprattutto
paesaggi urbani in giro per la città) che lo portò, attorno ai 18
anni, a vedersi rifiutare per ben due volte dall'Accademia delle
Belle Arti di Vienna.