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lunedì 6 aprile 2015

"Discorso sopra l'Italia, patria mai nata" - Capitolo VIII


DISCORSO SOPRA L'ITALIA, PATRIA MAI NATA
di
Michele Filipponi


- Capitolo VIII -


L'Eroe nostro, in piedi sulle staffe del cavallo co' proiettili de' bersaglieri che fischiavano tutt'attorno, correva e si sbracciava sgolandosi contro i suoi di non rispondere al fòco de' fratelli italiani. E mentre questo faceva, venne due volte colpito tanto all'anca che al malleolo e gridando forte “Viva l'Italia”, sanguinante col cappello in mano salutava i fratricidi stretto da le lacrime de' suoi fedeli uomini, prima di cadere da cavallo.... e così cadde, come corpo morto cade.[1]
Eppuro, nonostante ogne tentativo, nonostante lo trasporto di 12 ore per condurlo in carcere, sanza cure mediche ne la speranza che i disagi e lo strapazzo del viaggio avessero la meglio, nonostante che da prigioniero rimase più giorni sanza un letto di ricambio, sanza bende, né garze, né filacce, né alcun che per sopravvivere a tali ferite, lo destino volle che l'ultim'ora per lo General nizzardo non giugnesse ancora. Et in seguito a lo gran clamore suscitato 'n tutto 'l mondo da lo ferimento per mano di fòco italiano e dalla sua detenzione, mentre lo baffuto Re elargiva promozioni a' vili bersaglieri che attentarono l'Eroe e tramava per sottoporlo a processo come un malfattore comune, si trovò costretto dall'opinione pubblica mondiale a conceder invece l'amnistia, tanto che quando lo Generale lo venne a sapere con riso beffardo, da dietro le sbarre rispose: “Qual buffonata... son io che devo accordare l'amnistia a lui!”. Garibaldi... non basterebbero 100 vite intere per far tutto quello che lui fece in una sola, la sua. E per spiegare alle genti d'oggi quanto maggiore fosse la su' fama in vita nel mondo rispetto a' giorni nostri, ove comunque 'l suo nome risuona imperituro, questo mi sarebbe forse possibile solamente raccontando ciò che accadde dopo l'amnistia e i fatti dell'Aspromonte, o almeno potrà può darsi render l'idea dell'universalità epica che tale uomo ebbe a suo tempo sulla Terra.
Quando nell'aprile del 1864, oramai praticamente confinato ne la su' Caprera ma ancora indomito e non persuaso di prender Roma, fu invitato in Inghilterra per vari incontri tra cui quello con l'ex primo ministro Palmerston (che aveva in passato appoggiato l'impresa garibaldina in Uruguay) e per trovar in sostanza nòvi finanziamenti per mòver sommossa in Italia, appena si venne a saper che lo General nizzardo accettava l'invito, una compagnia di navigazione inglese mandò uno suo piroscafo appositamente, deviandolo dal normale tragitto, a prendere l'Eroe ne la su' isola. E quando questi l'11 aprile giugneva a largo del porto di Southampton, base navale de la flotta di sua maestà britannica, ella organizzò in suo onore una manovra a fuoco per salutarlo, mentre le sirene sònavano e migliaia di persone attendevano sulla banchina, d'ogne rango e classe sociale, per omaggiar l'Eroe. V'eran delegazioni di minatori gallesi e d'operai industriali, filandere scozzeri e uno gran mazzo di Pari d'Inghilterra con mogli al seguito e fidanzate e sorelle 'n trepidante attesa di poter estorcere all’Eroe un pelo de la su' barba o un filo de' suo' capelli; e la crème della crème degli intellettuali inglesi guidati da Carlyle[2], e l’universo de' rifugiati politici d’Europa, e lo sindaco della città naturalmente, e 'l popolo tutto compreso di straccioni e mendicanti. Sei ore impiegò l'Eroe per arrivare da la banchina al prato ove le genti non volevano lasciarlo andare. Giunto alla stazione di Southampton, un treno speciale coperto interamente di bandiere tricolori, lo aspettava per portarlo a Londra; non sanza difficoltà per via de le folle che di stazione in stazione occupavano i binari, costringendo 'l treno a continue soste. Arrivato ne la capitale a Garibaldi ci vollero altre 5 ore per fare 'l percorso in carrozza dalla stazione londinese a Trafalgar Square, ove un milione di persone in piazza lo attendevano. E quivi si parla d'un milione secondo la questura e dunque al minimo. Una massa immensa, festante e incredula di fronte a un uomo solo, che dissero in seguito non si ripeté nemmeno per i funerali di Wellington[3]. Una massa anomala, disomogenea, c'aveva mantenuto l'ordine nel giubilo sanza l'aiuto di polizia e soldati, felice forse per la prima volta nella storia, di condurre un proprio Eroe alla casa d'un duca e di vederlo preso per mano dall'aristocrazia.




1.   Dante Alighieri, Inferno, canto V, ultimo verso

2.   Thomas Carlyle (Ecclefechan, 4 dicembre 1795 – Londra, 5 febbraio 1881) è stato uno storico, saggista e filosofo scozzese, uno dei più famosi critici del primo periodo vittoriano. Va detto inoltre che la sfera di intellettuali e artisti che ammiravano Garibaldi (arrivando persino ad auto-tassarsi per finanziare le sue imprese) era all'epoca molto numerosa e vantava personaggi del calibro ad esempio di Victor Hugo che arrivò addirittura a dimettersi dal parlamento francese, facendo un meraviglioso discorso in difesa dell'Eroe nizzardo, dopo che venne ripudiato dai clericali d'oltralpe nonostante fu l'unico in tutta Europa ad accorrere per combattere contro i prussiani (e l'unico anche a vincere una battaglia respingendoli a Digione e strappando loro una bandiera, la sola persa dall'Impero di Prussia) per difendere la nascente Repubblica francese. Altro artista che fu non solo ammiratore ma grande amico di Garibaldi, è stato Alexander Dumas padre, (autore dei famosi romanzi I tre moschettieri e Il conte di Montecristo) che saputo della Spedizione dei mille, raggiunse l'Eroe per mare fornendogli, con i soldi messi da parte per il suo viaggio, armi, munizioni e camicie rosse. Fu poi testimone oculare della Battaglia di Calatafimi, che descrisse ne I garibaldini, pubblicato nel 1861 e sempre al fianco di Garibaldi il giorno dell'ingresso del nizzardo a Napoli, dove fu poi nominato da questi "Direttore degli scavi e dei musei", carica che mantenne per tre anni. Tornato a Parigi, Garibaldi lo incaricò di fondare il giornale garibaldino L'indipendente, che diresse. Scrisse dell'Eroe: “Una leggenda vivente, il condottiero della libertà, il soldato dell'indipendenza”.

3.   Sir Arthur Wellesley, primo duca di Wellington ( Dublino, 1º maggio 1769 – Walmer, 14 settembre 1852) è stato un generale e politico britannico di origine irlandese. Comandò le forze anglo-portoghesi durante la guerra d'indipendenza spagnola, espellendo, dopo una serie estenuante di campagne dal 1809 al 1813, l'esercito francese dalla Spagna e raggiungendo la Francia meridionale. Vittorioso e salutato come un eroe in patria, prese parte, come rappresentante del suo paese al Congresso di Vienna. Dopo il ritorno di Napoleone Bonaparte dall'isola d'Elba, assunse il comando delle forze anglo-alleate schierate in Belgio e vinse, insieme all'esercito prussiano del feldmaresciallo Gebhard Leberecht von Blücher, la battaglia di Waterloo che determinò la sconfitta definitiva dell'imperatore francese. In seguito fu anche per due volte primo ministro del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda.