DISCORSO SOPRA L'ITALIA, PATRIA MAI NATA
di
Michele Filipponi
- Capitolo VIII -
L'Eroe
nostro,
in piedi sulle staffe del cavallo co'
proiettili de'
bersaglieri che fischiavano tutt'attorno,
correva e si sbracciava sgolandosi contro i suoi di non rispondere al
fòco de' fratelli
italiani. E mentre
questo faceva, venne due volte colpito tanto all'anca che al malleolo
e gridando forte “Viva l'Italia”, sanguinante col cappello in
mano salutava i fratricidi stretto da le lacrime de' suoi fedeli
uomini, prima di cadere da cavallo.... e
così cadde, come
corpo morto cade.[1]
Eppuro, nonostante ogne tentativo, nonostante lo trasporto di 12 ore per condurlo in carcere, sanza cure mediche ne la speranza che i disagi e lo strapazzo del viaggio avessero la meglio, nonostante che da prigioniero rimase più giorni sanza un letto di ricambio, sanza bende, né garze, né filacce, né alcun che per sopravvivere a tali ferite, lo destino volle che l'ultim'ora per lo General nizzardo non giugnesse ancora. Et in seguito a lo gran clamore suscitato 'n tutto 'l mondo da lo ferimento per mano di fòco italiano e dalla sua detenzione, mentre lo baffuto Re elargiva promozioni a' vili bersaglieri che attentarono l'Eroe e tramava per sottoporlo a processo come un malfattore comune, si trovò costretto dall'opinione pubblica mondiale a conceder invece l'amnistia, tanto che quando lo Generale lo venne a sapere con riso beffardo, da dietro le sbarre rispose: “Qual buffonata... son io che devo accordare l'amnistia a lui!”. Garibaldi... non basterebbero 100 vite intere per far tutto quello che lui fece in una sola, la sua. E per spiegare alle genti d'oggi quanto maggiore fosse la su' fama in vita nel mondo rispetto a' giorni nostri, ove comunque 'l suo nome risuona imperituro, questo mi sarebbe forse possibile solamente raccontando ciò che accadde dopo l'amnistia e i fatti dell'Aspromonte, o almeno potrà può darsi render l'idea dell'universalità epica che tale uomo ebbe a suo tempo sulla Terra.
Eppuro, nonostante ogne tentativo, nonostante lo trasporto di 12 ore per condurlo in carcere, sanza cure mediche ne la speranza che i disagi e lo strapazzo del viaggio avessero la meglio, nonostante che da prigioniero rimase più giorni sanza un letto di ricambio, sanza bende, né garze, né filacce, né alcun che per sopravvivere a tali ferite, lo destino volle che l'ultim'ora per lo General nizzardo non giugnesse ancora. Et in seguito a lo gran clamore suscitato 'n tutto 'l mondo da lo ferimento per mano di fòco italiano e dalla sua detenzione, mentre lo baffuto Re elargiva promozioni a' vili bersaglieri che attentarono l'Eroe e tramava per sottoporlo a processo come un malfattore comune, si trovò costretto dall'opinione pubblica mondiale a conceder invece l'amnistia, tanto che quando lo Generale lo venne a sapere con riso beffardo, da dietro le sbarre rispose: “Qual buffonata... son io che devo accordare l'amnistia a lui!”. Garibaldi... non basterebbero 100 vite intere per far tutto quello che lui fece in una sola, la sua. E per spiegare alle genti d'oggi quanto maggiore fosse la su' fama in vita nel mondo rispetto a' giorni nostri, ove comunque 'l suo nome risuona imperituro, questo mi sarebbe forse possibile solamente raccontando ciò che accadde dopo l'amnistia e i fatti dell'Aspromonte, o almeno potrà può darsi render l'idea dell'universalità epica che tale uomo ebbe a suo tempo sulla Terra.
Quando
nell'aprile
del
1864, oramai praticamente confinato ne
la
su'
Caprera ma ancora indomito e
non persuaso di prender Roma,
fu invitato in Inghilterra per
vari
incontri
tra
cui quello con
l'ex
primo ministro Palmerston (che aveva in passato appoggiato l'impresa
garibaldina in Uruguay) e
per trovar in sostanza nòvi
finanziamenti per mòver
sommossa
in Italia,
appena
si venne
a saper
che lo General
nizzardo accettava
l'invito, una compagnia
di navigazione inglese mandò uno suo piroscafo appositamente,
deviandolo
dal normale tragitto, a prendere l'Eroe ne la su'
isola. E quando questi l'11
aprile giugneva a
largo
del porto di Southampton, base navale de la flotta di sua maestà
britannica, ella
organizzò in suo onore una manovra a fuoco per salutarlo, mentre le
sirene sònavano
e migliaia di persone attendevano sulla banchina, d'ogne
rango e
classe sociale, per omaggiar l'Eroe. V'eran delegazioni di minatori
gallesi e d'operai industriali, filandere scozzeri e
uno gran mazzo di Pari d'Inghilterra
con
mogli al
seguito e
fidanzate e sorelle 'n
trepidante attesa di poter estorcere all’Eroe un pelo de la su'
barba o
un filo de'
suo'
capelli; e la crème della
crème degli
intellettuali inglesi
guidati da Carlyle[2], e l’universo de'
rifugiati politici d’Europa, e lo
sindaco della città naturalmente, e
'l
popolo tutto compreso di straccioni e mendicanti. Sei ore impiegò
l'Eroe per arrivare
da
la banchina al prato ove le genti non volevano lasciarlo andare.
Giunto alla stazione di Southampton, un treno speciale coperto
interamente di bandiere tricolori, lo aspettava per portarlo a
Londra; non sanza difficoltà per via de le folle che di stazione in
stazione occupavano i binari, costringendo
'l
treno a continue soste. Arrivato
ne la capitale a Garibaldi ci vollero altre 5 ore per fare 'l
percorso in carrozza dalla stazione londinese
a
Trafalgar Square, ove un milione di persone in piazza lo attendevano.
E
quivi si parla d'un milione secondo la questura e dunque al minimo.
Una
massa immensa,
festante e incredula di fronte a un uomo solo, che dissero in seguito
non si ripeté
nemmeno per i funerali di Wellington[3]. Una massa anomala, disomogenea,
c'aveva mantenuto l'ordine nel giubilo sanza
l'aiuto di polizia e soldati, felice forse per la prima volta nella
storia, di condurre un
proprio Eroe
alla casa d'un duca e di vederlo preso per mano dall'aristocrazia.
1.
Dante Alighieri, Inferno, canto V, ultimo
verso
2.
Thomas Carlyle (Ecclefechan, 4 dicembre 1795 –
Londra, 5 febbraio 1881) è stato uno storico, saggista e filosofo
scozzese, uno dei più famosi critici del primo periodo vittoriano.
Va detto inoltre che la sfera di intellettuali e artisti che
ammiravano Garibaldi (arrivando persino ad auto-tassarsi per
finanziare le sue imprese) era all'epoca molto numerosa e vantava
personaggi del calibro ad esempio di Victor Hugo che arrivò
addirittura a dimettersi dal parlamento francese, facendo un
meraviglioso discorso in difesa dell'Eroe nizzardo, dopo che venne
ripudiato dai clericali d'oltralpe nonostante fu l'unico in tutta
Europa ad accorrere per combattere contro i prussiani (e l'unico
anche a vincere una battaglia respingendoli a Digione e strappando
loro una bandiera, la sola persa dall'Impero di Prussia) per
difendere la nascente Repubblica francese. Altro artista che fu non
solo ammiratore ma grande amico di Garibaldi, è stato Alexander
Dumas padre, (autore dei famosi romanzi I tre moschettieri e Il conte di Montecristo) che saputo della Spedizione dei mille, raggiunse l'Eroe
per mare fornendogli, con i soldi messi da parte per il suo viaggio,
armi, munizioni e camicie rosse. Fu poi testimone oculare della
Battaglia di Calatafimi, che descrisse ne I garibaldini,
pubblicato nel 1861 e sempre al fianco di Garibaldi il giorno
dell'ingresso del nizzardo a Napoli, dove fu poi nominato da questi
"Direttore degli scavi e dei musei", carica che mantenne
per tre anni. Tornato a Parigi, Garibaldi lo incaricò di fondare il
giornale garibaldino L'indipendente,
che diresse. Scrisse
dell'Eroe: “Una leggenda vivente, il condottiero della
libertà, il soldato dell'indipendenza”.
3.
Sir Arthur
Wellesley, primo duca di Wellington ( Dublino, 1º maggio 1769 –
Walmer, 14 settembre 1852) è stato un generale e politico
britannico di origine irlandese. Comandò le forze anglo-portoghesi
durante la guerra d'indipendenza spagnola, espellendo, dopo una serie
estenuante di campagne dal 1809 al 1813, l'esercito francese dalla
Spagna e raggiungendo la Francia meridionale. Vittorioso e salutato
come un eroe in patria, prese parte, come rappresentante del suo
paese al Congresso di Vienna. Dopo il ritorno di Napoleone Bonaparte
dall'isola d'Elba, assunse il comando delle forze anglo-alleate
schierate in Belgio e vinse, insieme all'esercito prussiano del
feldmaresciallo Gebhard Leberecht von Blücher, la battaglia di
Waterloo che determinò la sconfitta definitiva dell'imperatore
francese. In seguito fu anche per due volte primo ministro del Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda.