INDAGINE IN 7 ATTI SUL PECCATO ORIGINALE
IN LINGUA ORIGINALE
di
Michele Filipponi
- Atto settimo -
La punizione dell'uomo
Per quanto concerne invece il passo che riguarda la punizione di Adamo, anche qui il senso della traduzione rischia di stravolgere l'originale. Ma vediamolo nel dettaglio. Dice la Bibbia ufficiale della CEI: “All'uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: 'Non ne devi mangiare', maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!»”. Dio dunque maledice la terra, la materia di cui è fatta la sua creatura. Ma perché lo fa? Che colpa ha la terra infondo? Qui c'è da chiarire subito una cosa: anche in questo caso infatti, come per Eva, la punizione che Dio infligge non scaturisce tanto da lui, quanto dalla conseguenza della consumazione del frutto. Questo punto non va mai dimenticato. Il Signore è l'esecutore materiale della condanna, ma i due si puniscono da soli quando decidono di diventare esseri umani dotati di coscienza. Il Creatore non può fare a meno di punirli, per le regole che aveva imposto. Infatti in questi versetti Dio punisce sì, ma attraverso una constatazione logica che dalla traduzione purtroppo non può emergere. Nell'originale infatti la frase “maledetto sia il suolo per causa tua” in realtà non ha un verbo. Questo non deve stupire, la lingua biblica molto spesso sottintende i verbi. Solo che qui il verbo scelto è sbagliato. L'ebraico ha “'arurah ha'adamah” cioè “maledetto il suolo”. L'aggettivo “maledetto” in questo caso è predicativo, cioè va collegato al sostantivo di riferimento “suolo” mediante un verbo, che il traduttore ovviamente deve scegliere in base al contesto della frase. Il verbo non c'è, va scelto. Ora, la situazione dei tempi verbali nella lingua ebraica è molto complessa e non sto qui a spiegarla, ma dal momento che immediatamente dopo viene usato un futuro (“con dolore ne trarrai il cibo”) non si capisce perché qui il verbo scelto debba essere “sia” anziché “sarà”. A mio parere il verso dovrebbe essere: “Maledetto sarà il suolo per causa tua”. La scelta di questo verbo in italiano chiarifica il senso. Dio constata quello che sarà un fatto. L'uomo, scegliendo d'acquisire la conoscenza, acquisisce anche il male, quello che lo porterà a sfruttare la terra, a violentarla per trarne profitto. Adamo, perduta l'animalesca innocenza dell'Eden, non si contenterà più del prodotto spontaneo che lì vi cresceva. E Dio glielo dice: ora la terra di cui sei fatto diverrà per te maledetta, dovrai sudare per trarne sostentamento e la tua avidità la renderà tossica, ostile. Poco prima, in Genesi 2:15, il Signore ponendo l'uomo nell'Eden, consegnava a lui la responsabilità di quella terra con il compito di “servirla e custodirla”. Due verbi ebraici perennemente mal tradotti. Specialmente il primo che di solito diventa “lavorarla” o “coltivarla”. In questo modo si evita al lettore di fare i collegamenti. Servire e custodire infatti sono gli stessi verbi del culto dovuto alla divinità. Dio va servito e custodito esattamente come la terra e spetta all'uomo, posto fra la terra e il cielo, l'opera di congiunzione. Ma Adamo ha violato il comandamento divino ed ora il suolo è in pericolo. È per questo che nell'Esodo Dio introduce lo Shabbat della terra, poi addirittura ampliato nel Levitico ed esteso ulteriormente nel Deuteronomio. Shabbat in ebraico è sia “riposo” che “sabato” che “cessazione”. La terra ne ha diritto ogni 7 anni per un anno intero. Dice Dio a Mosè: “Sei anni la seminerai e raccoglierai il suo prodotto (notate: suo prodotto. Cioè della terra, non dell'uomo). Il settimo le darai remissione. Sarà un anno di completo riposo per la terra. Ciò che essa produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua schiava, al tuo bracciante e al forestiero che è presso di te; al tuo bestiame e agli animali che sono nel tuo paese”. Ed è sempre qui e sempre per amore della terra, che Dio introduce l'anno giubilare, uno dei comandamenti più rivoluzionari di tutti i tempi. Magari venisse applicato oggi! Il giubileo, da farsi ogni 49 anni (7x7), è il rimescolamento della società. Non c'è solo il riposo della terra ma la restituzione di essa a coloro che l'avevano perduta. Gli schiavi e i prigionieri divengono uomini liberi con l'aggiunta della buona uscita, i creditori annullano le riscossioni, Dio azzera i debiti al mondo ed ogni essere umano ha il diritto (e l'obbligo) di ricominciare. Questa norma è fatta per favorire uno sviluppo equilibrato a 360 gradi della società. Dio ci ricorda che l'uomo, così come la terra, appartengono a lui. Il diritto di proprietà è sempre provvisorio. La terra acquistata è in realtà perennemente in fitto presso il proprietario. Lo Shabbat quindi è la contro-misura che Dio prende in conseguenza del peccato originale, per salvaguardare l'ambiente dall'uomo. È una riforma ambientalista la sua. Obbliga l'uomo a voler bene alla terra, a vantaggio di entrambi. Ma tornando alla punizione divina, ricompare nel passo della condanna ad Adamo la parola “'etzev”, pure qui tradotta “dolore”. Ma che cavolo c'entra il dolore con la terra? È chiaro che si tratta di “fatica”, di “sforzo”, un'ulteriore dimostrazione del reale significato di questo termine. Adamo ne trarrà il cibo con "fatica” e col “sudore della faccia”. E giusto per far la rima, del dolore non c'è traccia. Le ultime parole che Dio gli riserva prima di scacciarlo sono la conferma del “mot tamut”, il “certamente morirai” che il Signore aveva confessato ad Adamo qualora questo avesse còlto il frutto. L'uomo sarà così costretto a tornare alla terra, perché ad essa appartiene, da essa è stato tratto. La traduzione compie qui un piccolo errore, dice: “Polvere tu sei e in polvere ritornerai”, che a me fa sempre venire in mente il latte in polvere, come se Adamo finita la corsa, tornasse polverizzato in un barattolo. Ma l'uomo non torna in polvere, torna alla polvere. C'è una dissoluzione nella terra e non in terra, che riproduce il percorso inverso della sua creazione. È materia che riassorbe sé stessa. Così come era stato sputato fuori dal suolo per essere modellato, ora come quando il bambino tira su lo spaghetto con la bocca, l'uomo viene risucchiato all'indietro. Riportato al suo stato grezzo. Adamo è un semi-lavorato che il padreterno disfa. È il castello di sabbia che torna alla sabbia, che perde la forma e dunque la prerogativa di “castello”. Allo stesso modo, ma per addizione linguistica, che “Adam - Adamo” ridiventa “'adamah - suolo”, riacquista cioè la consonante sottratta “ה - he”, quella che nell'alfabeto ebraico rappresenta la nascita, la distinzione e la specificità. È la lettera che perde la parola “suolo” quando Dio trae da esso l'uomo. Pure questa consonante è in prestito, va restituita al legittimo proprietario. "Suolo - אֲדָמָה" ha valore numerico 50, come le parole: "דום - destino”, "הָאָדָם – essere umano” e “הגאולה – riscatto”. Quel riscatto che Adamo pagherà con l'avversità della terra, per aver voluto acquisire la conoscenza. In pratica paga in natura, con la materia di cui è fatto, quella stessa materia che d'ora in avanti gli si rivolterà contro costringendolo alla fatica per trarne sostentamento. È questo il contrappasso che Dio pone all'uomo. Ma “suolo - אֲדָמָה” ha soprattutto lo stesso valore numerico di "אב ואם – padre e madre”. Una cosa che in effetti non siamo mai portati a pensare, e cioè che Adamo a ben vedere non ha genitori. In quanto prima creatura è orfano. Ma, insegna appunto la lingua ebraica, è un orfano solo apparente. Bisognerebbe ricordarselo quando sentiamo parlare di “madre terra”... la terra in realtà per l'uomo è sia padre che madre. Copre entrambi i ruoli. Ogni volta che un uomo muore si ricongiunge ai suoi antenati costituenti, ai suoi genitori unificati: la terra.
In conclusione: la punizione divina che Dio infligge alle due creature va svuotata dell'ira. Dio mantiene la parola, da Padre Creatore applica il castigo ai figli disobbedienti, ma non c'è collera nel suo linguaggio. Quella verrà più avanti e sempre con più frequenza, a punire un uomo oramai marcio dentro, carico di imperfezioni, che si crogiola nel male. Arriverà addirittura al diluvio, alla distruzione del creato, talmente è disgustato dalle sue creature. L'apocalisse, che è l'ultimo libro della Bibbia, in realtà avviene nel primo. Dio mette fine al mondo all'inizio dell'antico testamento, non alla fine. Lì sì che c'è l'ira di Dio. Ma non qui, qui Dio prende atto del gesto e a sua volta la punizione che impone, consiste proprio nel far prendere atto agli uomini di ciò che hanno fatto. Il Creatore non ce l'ha con loro, ama ancora Adamo ed Eva. Per questo il primo gesto che compie, ancora prima di scacciarli, è fare loro tuniche di pelli. Dio veste i suoi figli. Questa è l'unica cosa materiale che gli uomini erediteranno dall'Eden. È un segno d'amore verso la vergogna che i due provano ora nel sentirsi nudi per la prima volta, a causa della consumazione del frutto. Come un qualunque padre che allontana da casa i propri figli oramai indipendenti, Dio dona loro una velata carezza, nascosta dietro all'apparente bisogno. Mette un cappotto sulle spalle dei figli, dice loro: copritevi bene, non prendete freddo. State attenti. Là fuori ora sarà diverso. Sarà un'altra storia. Ma io ci sarò sempre per voi. Voi piuttosto, non dimenticatevi di me.
E adesso figliuoli... fuori.
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