DISCORSO SOPRA L'ITALIA, PATRIA MAI NATA
di
Michele Filipponi
- Capitolo II -
Oh se 'l Sommo Poeta, padre tuo prima d'ogne altro, te vedesse... "Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire, or son venuto là dove molto pianto mi percuote"[1]. Perché come l'origine misteriosa de 'l nome tuo, eziando l'idea di te lo è.
Com'è possibile infatti esistere ancor prima d'esistere? Esser sulle bocche de' tuoi figli seppur spartita politicamente da questi? Mantenere un'unità nella division perenne? Tu, da' confini naturali geograficamente disegnati, al centro de quello che i romani chiamavan "mare nostrum", t'allunghi verso l'Africa e l'Oriente restando però aggrappata all'Alpi, che indossi come una corona 'n testa e che racchiudon la tua bellezza al di qua, affinché non se disperda. Tutto intorno hai vesti d'azzurro, è mare, acque calme e tu se' in mezzo a ombelico de tutto, come un braccio che si protende verso 'l mondo, verso l'altre terre, verso l'altre genti. Popoli stranieri che t'hanno contaminata ma mai assorbita: fenici e greci primi fra tutti.
Poi venne Roma, l'impero a illuminare 'l mondo. E lo nome tuo che fino ad allora venìa usato per riferirse soltanto all'odierna Calabria, passò grazie a' romani a indicare l'intiera penisola. Piantò lo seme 'l grand'eroe che pria da Troia, per destino, a i liti d'Italia e di Lavinio errando venne. Onde cotanto crebbe il nome de' Latini, il Regno d'Alba e le mura dell'imperio[2]. Roma. Roma Italia mia, letta al contrario Amor, non ha eguali. Roma fu lo lasciapassar per lo futuro, nacque con lei tutto ciò ch'è moderno, ogne affar che ce circonda, compresa te che forse mai fosti nazion gloriosa come allora a' tempi della Res publica. Ricordi l'oratoria magica de Cicerone e la guida d'Augusto? Oggi Roma non è che l'etterna riproposizione funerea del suo passato immenso, invasa com'è da inetti burocrati, ladri, guappi e guitti perdigiorno de la politica e de la finanza tutta. Come si puote non pianger dinnanzi a tante rovine quand'esse contrastan così smaccatamente co' le rovine morali e culturali odierne, d'esti occupanti che se ne stanno ammassati ne' lor palazzi? Roma tua, caput mundi, città etterna, dissangua accerchiata dall'urbanizzazion selvaggia che l'assedia. Tutt'intorno 'na fitta giungla de cemento, casermoni, fabbricati e palazzi e condominii eretti sanz'arte e sanza 'l minimo gusto del bello, come tante casupole per topi accatastate una 'n fila all'altra e in mezzo il Colosseo, i fori, il Pantheon, Roma, quella imperiale, assalita dall'ignoranza bruta dell'ultracapitalismo che non tende ad altro se non al brutto, a la miseria, a lo scempio. Vieni a veder patria dannata, codesta Roma tua che piagne, vedova e sola e dì e notte chiama: "Cesare mio, perché non m’accompagne?"[3]
E così tant'altre città tue oggi, divorate da lo stesso male a stelle e strisce che c'ha appestato tutti. Piangi Italia mia, che ben hai donde[4]. Secoli e secoli per divenir nazione unita ufficialmente e guarda 'l risultato!
No, forse non sei fatta per esser Nazione, Stato, Regno o Repubblica, difatti esistevi da molto prima e ben delineata ugualmente; forse nasci soprattutto come terra de cultura, come ritrovo d'artisti attratti da' tuoi paesaggi e dal tu' clima, come circolo de geni intenti ad innovare 'l mondo. Forse sei semplicemente un luogo ne la testa d'ogne uomo che s'apre quando pensa alla bellezza. Sei più un'idea astratta, più una fantasia che un'istituzione, eppur esisti, sei concreta, reale, come i tuo' monumenti in marmo e travertino. Stuprata e saccheggiata da orde germaniche, bizantine, longobarde, che non avean mani a sufficienza per depredar una così sterminata ricchezza, vedesti 'l corpo tuo seguitamente spolpato e 'nsanguinato da guerre fratricide comunali de le opposte fazion dei guelfi e ghibellini. Eppure l'innovazion de' tuoi comuni liberi oggi sarebbe un sogno e rimpiango quel tempo tanto 'nfangato dagli storici ch'accostarono 'l medioevo agli anni buii in cui v'eran guerre si, violenze di certo, ma pure uno fermento culturale e politico che influenzò l'Europa intiera e che magari oggi vi fosse, in codesto vero medioevo vivente, buio e vòto e sanza Deo. Eccoli i tuo' primi Italiani, con la rivolta de' vespri a Palermo[5], la battaglia de Legnano[6] e lo risveglio spirituale tracciato da Francesco patrono tuo, lo fervore artistico deflagrò come una bomba su tutta la penisola e ben presto la nascita delle Signorie ti riportò lassù, ove Dante incontrò Beatrice.
1. Dante Alighieri, Inferno, canto V, versi 25-27
2. Virgilio, Eneide, proemio dell'opera tradotto da Annibal Caro
3. Dante Alighieri, Purgatorio, Canto VI, versi 112-114
4. Giacomo Leopardi, Canti, All'Italia, verso 18
5. Fu una rivolta popolare scoppiata a Palermo nel 1282 all'ora del vespro del lunedì di Pasqua quando dei soldati francesi arrecarono offesa ad una donna che si era appena sposata e stava uscendo dalla chiesa. Il casus belli sancì così l'inizio della rivolta contro il mal governo degli angioini, che all'epoca dominavano in Sicilia con Carlo I d'Angiò dal 1266, da quando cioè la dinastia francese era subentrata agli svevi dopo la sconfitta di Manfredi. La cruenta rivolta dei vespri sfociò in una guerra lunga vent'anni fino a quando i siciliani, aiutati da Pietro III d'Aragona, riuscirono a scacciare i francesi. Nonostante tutto però la Sicilia non riuscì comunque ad ottenere l'indipendenza, dal momento che nel 1302 con la pace di Caltabellotta l'isola passò semplicemente dalla dominazione angioina a quella aragonese. L'episodio dei vespri assumerà comunque in seguito notevole significato simbolico in ottica risorgimentale, di rivolta contro lo straniero.
6. Fu uno scontro avvenuto il 29 maggio 1176 tra l'esercito imperiale di Federico Barbarossa e la Lega Lombarda nata dall'alleanza di diversi comuni dell'Italia settentrionale, che per fronteggiare il Sacro Romano Impero Germanico decisero di mettere da parte le reciproche rivalità alleandosi militarmente sotto la guida simbolica di papa Alessandro III. La battaglia, combattuta tra le località di Legnano e Borsano, pose fine alla quinta ed ultima discesa in Italia del Barbarossa, che dopo la sconfitta cercò di risolvere la questione italiana tentando l'approccio diplomatico. Questo sfociò qualche anno più tardi nella pace di Costanza (25 giugno 1183), con la quale l'Imperatore riconobbe la Lega Lombarda dando concessioni amministrative, politiche e giudiziarie ai comuni e ponendo ufficialmente fine al suo tentativo di egemonizzare l'Italia Settentrionale. L'episodio della storica battaglia di Legnano, così come anche quello dei Vespri siciliani, fu inoltre citato da Mameli e Novaro, in quello che sarebbe poi diventato l'Inno nazionale, come esempio di vittoria delle popolazioni italiane su quelle straniere. Legnano fu l'unica città oltre a Roma, ad essere espressamente citata in tale inno.
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